La funzione intellettuale di un fabbro

Chi lo dice che un fabbro non possa essere un intellettuale?

PROBLEMA NUMERO UNO..intellettuale come funzione VS intellettuale come ruolo

Se per intellettuale si intende un chiacchierone chiuso nel suo autismo allora un fabbro con la sua concretezza non potrà esserlo di certo. Perché se un fabbro non compone, magari in ferro battuto, un oggetto che al cliente piaccia non mangia. La concretezza del fabbro, però, non scredita assolutamente il suo lavoro, piuttosto la soddisfazione del cliente è l’obbiettivo che si pone..anche se (probabilmente) spesso cede il passo alle pretese più o meno giustificabili dei clienti.

Se questo non vi basta pensate al fabbro del Forte Prenestino di Roma (centocelle) che prende  dei telai di vecchie moto e saldandololi insieme ne compone un mostro per significare la bruttezza delle strade e delle piazze invase da veicoli a motore che distruggono la bella vista delle nostre città.

Diventa chiaro come l’essere intellettuale non è esclusivamente un ruolo su cui arroccarsi per non accettare i feedback (magari negativo) fatto da profani, che si pretendono non in  grado di capire. L’intellettuale  visto come funzione invece è quella specifica competenza, che ogni professionista può assumere come obbiettivo,  a favorire un processo di pensiero critico su quanto diamo per scontato.

Di qui ne deriva che se è in crisi il ruolo dell’intellettuale di certo non sarà mai in crisi la funzione dell’intellettuale!

Certo, troppo spesso la funzione dell’intellettuale è relegata nell’underground. Daltronde il ruolo dell’intellettuale è in crisi proprio perché l’intellettuale medio non è più in grado di spiegare i concetti (per lo più molto semplici) che dovrebbe elargire. L’incompetenza dell’intellettuale  pare essere il perno del nostro periodo storico in Italia.

Ecco la provocazione…un fabbro può essere intellettuale, mentre un “intellettuale” (tra virgolette perché spesso chi pretende di esserlo si arrampica sugli specchi) potrebbe paventare un ruolo senza un background realmente solido di idee che lo supportino. Ecco la difficoltà italiana di questo periodo, dare voce a quei processi di pensiero critico, che oggi sono reclusi nell’underground…il che ricorda il tafano di Socrate.

PROBLEMA NUMERO DUE: L’intellettuale come scusa per essere “Contro”

Lasciare che il pensiero critico sia relegato in un circuito contrapposto al resto della società è un problema, perché il pensiero critico non deve divenire qualcosa che altri (i normali, i semplici, i borghesi…1000 modi di connotare chi non ha voglia di sforzarsi a pensare) non possono comprendere. In questo caso l’essere contro diventa una regola ed un modo di sancire una superiorità. Tentare di stimolare un pensiero è molto diverso del sancire di essere migliori di altri solo perché pretestuosamente artisti.

Veicolo di una funzione intellettuale per eccellenza è l’arte, e spesso è davvero così. Il messaggio di un’opera d’arte, fatta da un fabbro che saldando insieme dei telai lancia un forte messaggio critico, sul fronte economico, ecologico e culturale, rispetto ai mezzi di trasporto a motore. Rendere comprensibili (ai sopracitati idioti) tale messaggio è un’altro paio di maniche! Alle mostre in genere ci sono le locandine, per spiegare tali significati nascosti.

ONLY SOLUTION

Vari modi di rendere i significati chiari agli interlocutori. Me ne vengono in mente almeno tre..

1 locandine stile mostre…pipponi lunghissimi ma dai contenuti assenti (intellettuale come ruolo)

2 Assenza di locandine…chi vuol capire capisca! o sei uno figo o fottiti! tipo il fabbro dei centri sociali che concepisce un’opera dal significato incredibile, ma che non si pone per nulla l’obbiettivo di spiegarlo ai profani.

3 In mezzo c’è la virtù. Creare un interesse in chi vede un’opera d’arte! E’ chiarmente un’operazione difficile, non c’è dubbio! Non solo concepire l’immagine artistica, ma anche saperla spiegare, e talvolta addrizzare il tiro anche su consiglio del primo passante che pone una questione su un nodo cruciale per il messaggio che si vuole mandare. Eppure la sfida è proprio questa! Accettare il feedback dal profano è ancora più difficile, entrare nel merito con il profano è un rospo duro da accettare…perché se qualcuno recepisce il messaggio e magari dice “bhè si, bel messaggio! ma io l’avrei detto in quest’altro modo” è un problema per l’artista o l’intellettuale che si vive come migliore di altri e che in quanto tale non accetta/ascolta feedback di alcun tipo.

Ecco il vero problema. Nel 2011 nessuno si può permettere di arroccarsi su un ruolo indiscutibile, altrimenti ci si ritrova o nell’underground  con la conseguente difficoltà a restituire al resto della società il messaggio, oppure ci si ritrova con un ruolo forte ma con pochi contenuti da mandare.

Vi invito ad andare al forte a vedere la statua fatta con i telai delle moto..magari tra un pò metto delle foto. Comunque sempre 1000 volte meglio il fabbro del forte che Sgarbi che non capisce un cazzo di nessun argomento.

Mitopoiesi di Renzo Arbore: La vita è tutto un quiz!

Renzo Arbore insieme a Nino Frassica ha dato vita tra il 1987 ed il 1988 ad una delle trasmissioni che più di altre ha influenzato la storia della televisione degli anni ’90: “Indietro tutta!

Arbore in realtà aveva intenzioni fortemente critiche e satiriche nei confronti della TV italiana del tempo. La nascita di Mediaset e la conseguente deriva grottesca della tevevisione, che sempre più si allontanava dal fornire servizi ai cittadini, ha portato arbore a tirar sù questo programma su Rai2, intercettando questa deriva grottesca, connotando il tutto con la satira. Credo che il suo obbiettivo, conoscendo anche il suo film “Il papocchio” (critica a Wojtyla ed al vaticano), fosse quello di far pensare al telespettatore allo stato larvale a cui si riduce, chiudendosi in una routine quotidiana e noiosa, in cui la televisione ed i sogni di successo nello spettacolo sono le uniche vie di fuga dalla famiglia.

testa non pensante

Ma la critica se grottesca raramente viene capita! Spesso si confonde la satira con il trash. Indietro tutta! è il programma che fa uscire la TV dagli anni ’80 e la fa entrare ufficialmente negli anni ’90, in cui il trash e l’assenza di contenuti diventa uno standard in molti programmi televisivi, fino ad oggi. Esemplificativo è “Non è la Rai” di Gianni Boncompagni.
Per rendere il tutto più verosimile Arbore aveva addirittura uno sponsor inventato di nome “Cacao meraviglião” che veniva pubblicizzato tramite una canzone scritta da lui stesso (è un musicista clarinettista), cantata dall’allora quattordicenne Paola Cortellesi e ballata da ragazze finte brasiliane; il tutto ancora una volta per poter farsi beffa delle tecniche pubblicitarie che inventavano l’esoticità di un caffè che magri veniva prodotto a Pizzo Calabro. In quel periodo in cui l’audience della trasmissione era alle stelle i telespettatori cercavano il “Cacao Meraviglião” negli scaffali dei supermercati, perché non capiva che la sua inesistenza doveva piuttosto far pensare che la commercializzazione selvaggia e la sponsorizzazione dei prodotti in TV era un modo per rendere i “telespettatoti-semplici” dei “telespettari-che-comprano-e-che-spendono”.

Arbore lanciava con le sue canzoni messaggi critici a raffica! L’esempio migliore per me sta nella canzone “Si, la vita è tutto un quiz”, in cui critica il fatto che la TV si riempie sempre più di quiz in cui si diventa magicamente ricchissimi (beate lire)! Lo telespettatore annoiato, che segue delle trasmissioni in cui “si fanno i milioni”, si immedesima facilmente in chi sfida la fortuna, condividendo con lui sia i sogni di gloria che le ricadute rovinose. Il mito del fare soldi con una cultura generale, la cultura da quiz appunto, del vincere denaro con facilità (dando una “svolta” come dicono a Roma) o anche il semplice pensare che il futuro lo si possa costruire solo con una botta di fortuna (e non una botta di genio) è una cosa che ha inventato Mike Bongiorno (importando dagli USA), ma che ci portiamo dietro e che tutt’oggi riempie i palinsesti dei nostri canali televisivi.

La TV è piena di numerosissimi quizzettoni che allietano le noiose serate casalinghe degli stanchi lavoratori italiani, trasformando così il monitor della TV in un “focolare domestico 2.0”. In questo libro fatto di immagini in movimento si possono leggere le epiche gesta di fortunatissimi conoscitori dei più disparati frammenti di scibile umano: Le epiche gesta dei “Concorrenti di quiz”, ormai una professione sicura e con tanto di sindacato. Ma a volte i fortunatissimi concorrenti si trasformano in degli Icaro, che volando troppo in alto decadono allo stato di comune mortale perdendo miseramente e portando a casa il semplice gioco da tavola con cui poter continuare a giocare al “piccolo concorrente” per tutta la vita, ma entro il contesto familiare tanto odiato.
In ogni caso il telespettatore gode di quanto vede, come fosse in un’arena in cui si battono dei gladiatori che compiono gesta eroiche. Questo spettacolo forse più delicato dei miti greci, in quanto non c’è n’è sangue n’è morte, c’è però tutta l’enfasi e lo strazio che il desiderio comporta. [a parte che musicalmente mi pare faccia il verso alle canzoni del fascio..specie quando il coro dice “Bisogna vincere e vinceremo” oltre che riprendendo il classico stile vocale radiofonico del regime…bho!]

Arbore ben consapevole di tutto ciò, volutamente ironizza sulla deriva della TV italiana (questione ancora attualissima) tramite una comicità grottesca, che oggi definiremmo trash in cui le antenate delle veline: “Le ragazze coccodè” mostrano i loro corpi ostentando una stupidità che magari non le riguarda realmente.

Questo è il mito della TV d’oggi: un luogo dei sogni, un posto magico come l’olimpo, in cui si consumano le sventure dei comuni mortali che tentano di assomigliare agli dei. Tutti vogliono diventare famosi anche senza per forza aver qualcosa di nuovo da dire, e la prostituzione intellettuale (quando non la prostituzione vera e propria) pare l’unica via per raggiungere questo traguardo, come se davvero una volta arrivati non ci fosse bisogno d’altro.

Open Water ed Alla deriva. Una lettura psicologia dei film

OPEN WATER

questo film è tratto da una storia vera in cui due bombolari in vacanza vengono lasciati in mare dal servizio diving per colpa di un errore nel conteggio dei sub tornati a bordo barca, per cui si ritrovano più di un giorno intero in mezzo all’oceano. Nel film la coppia di sub, coppia anche nella vita, si ritrova ad aver a che fare con i classici pericoli del mare; come bisogni fisiologici tipo freddo, sete, fame, o alle prese con nemici provenienti dall’imprevedibilità dell’acqua, come meduse, pesci e squali. Premesso che nell’immaginario collettivo gli squali sono appena al largo dalla spiaggia pronti a sbranarci, ma questa paura atavica spesso è sconfermata dalle statistiche.

Il film è tratto più che da una ricostruzione realistica dei fatti, da un indizio inquietante realmente documentato: una macchina fotografica subacquea è stata ritrovata nella pancia di uno squalo proprio nei giorni successivi allo smarrimento dei due bombolari in questione, ma i due episodi possono essere tranquillamente scollegati. Quindi la ricostruzione del regista Chris Kentis è frutto della sua personale immaginazione, perciò analizzare il suo film è diverso dall’analizzare i fatti verosimilmente accaduti. Il regista ha arricchito la storia di questa disgrazia di dettagli pensati da lui, che parlano del rapporto tra i due compagni che vanno al di la del mare e della paura che può suscitare. Forse il mare proprio per il suo essere inconoscibile, infinito ed imprevedibile, è un pretesto per parlare di qualcos’altro tramite una pellicola.

Continua a leggere

La tradizione del pane di Matera: un simbolo di solidarietà del passato mitico

QUESTIONI TECNICO- PRODUTTIVE

pane cotto  legna

La merenda del buon materano è fatta di pane condito con pomodoro, sale, origano ed olio (più aglio per i più temerari), detto più semplicemente “pane e pomodoro”, con cui sono cresciuti di generazione in generazione per secoli centinaia di giovani, adulti ed anziani. Anche Carlo Levi venendo a Matera durante il suo esilio durante il ventennio fascista vide bambini con enormi fette di pane e pomodoro, immagine che ben rappresentava Matera in “Cristo si è fermato ad Eboli”. Quelle fette di pane erano enormi perché tagliate da pagnotte molto più grandi delle attuali che non superano il chilo. La pezzatura minima era di 2 Kg, ma potevano arrivare anche fino a 6 per le famiglie più numerose. Il cambio delle dimensioni e quindi del peso è avvenuto per motivi di conservazione del pane, infatti più è grande più tende a trattenere l’umidità a lungo, restando morbido; infatti il pane veniva fatto solo una volta ogni sette giorni e doveva mantenersi fresco per tutta la settimana. Il giorno in cui il garzone passava con la sua tavola sulle spalle per i vari quartieri della Matera antica, l’attuale Rione Sassi, raccoglieva le pagnotte casa per casa per portarle al suo forno. Mentre il fornaio cuoceva a legna la pasta lavorata e fermentata dalle donne, gli uomini erano nelle campagne per lavorare i terreni in cui si piantava il grano necessario per la farina, chiudendo il ciclo produttivo.

La produzione del pane è quindi una tradizione che organizzava gran parte del tessuto sociale: gli uomini erano agricoltori, le donne impastavano la farina in forme che venivano cotte dal fornaio.

La ricetta, che prevede una miscela di farine di semola di grano duro, di cui il 20% è di tipo cappelli (per informazioni su questo tipo di grano vedi qui, qui e anche qui), prevede una lievitazione di tipo naturale, cioè producendo il lievito direttamente in casa. Le donne dopo aver impastato conservavano una piccola parte della massa prima di consegnarlo al garzone, cosicché, facendolo letteralmente ammuffire in un angolo umido della casa, produceva il lievito necessario per fermentare la pagnotta della settimana successiva.

IL PANE COME COLLANTE SOCIALE

matera di notteTutto ciò la dice lunga su come una panificazione del genere implichi una cultura profonda ed uniformemente distribuita nei materani, una cultura fatta di gesti semplici e conoscenze secolarizzate nella storia. La produzione del pane quindi non contempla solo un aspetto esclusivamente tecnico e produttivo, ma anche simbolico che ancora oggi dà identità alla città insieme alla presenza del quartiere Sassi che si affaccia sulla gravina (una gola degna di un canyon che taglia le colline della murgia).

Alla produzione del pane è indissolubilmente intrecciata la solidarietà del tessuto sociale che collaborando alla sua produzione crea un senso di collettività e di appartenenza di cui il pane è il collante.

Possiamo immaginare che le donne ad esempio potevano scambiarsi consigli circa possibili migliorie per perfezionarne il gusto, oppure i vicini potevano chiedere di farsi fare il pane al proprio posto in caso di cattiva salute, creando dei rapporti veri tra vicini non esclusivamente economici; quindi il pane prodotto di tutto ciò, si è caricato di significati sociali che parlano di collaborazione, cultura e senso civico.

Anche l’aspetto della convivialità entro le case materane vedeva di nuovo presente come protagonista il pane. Il gesto del taglio delle fette era fatto in tavola dalle donne, che stringendolo al petto con un braccio e, impugnando il coltello con l’altro, rivolgendo la lama verso il petto, tagliavano una ad una le varie fette, con un gesto tipico che ancora oggi rappresenta l’immagine del calore delle mura domestiche dopo una giornata di lavoro contadino.

La tradizione del pane a Matera non rappresenta solo un prodotto tipico di eccellenza, ancora di più simboleggia una società dal passato mitico, che intorno al pane organizzava la propria convivenza, definendo ruoli e funzioni di uomini e donne sia all’interno che all’esterno del nucleo familiare. Analogamente il lavoro contadino degli uomini che andavano quotidianamente fuori dalle città per coltivare il grano, ben rappresenta come la produzione del pane necessitava di una mescolanza di competenze specifiche spese entro le varie fasi di produzione.

Il pane della città dei sassi è buono per tutti questi motivi, che non sono strettamente aderenti a questioni tecniche, è buono per la sua storia e per la cultura di convivenza che rappresenta. Il pane è buono perché lo si è migliorato insieme per secoli, creando una cultura della panificazione intrecciata con quella della solidarietà e del civismo.

IL PANE OGGI

Ciò che qui voglio dire, è che la tradizione del pane è il simbolo della capacità dei materani di cooperare promuovendo convivenza. Se il pane oggi ci parla di tradizioni,ma quello che rappresenta non è un mito relegato nel passato di cui avere nostalgia, ma è un oggetto che tutt’oggi è attuale.

Ancora oggi dal panettiere si parla e si socializza, ci si scambia opinioni sulle varie forme di pane a cui più si è affezionati, o sui vari livelli di cottura preferiti. “Dammi quello ben cotto, che il coltello deve fischiare mentre lo taglio” (“Ah mhà domm chir abbr’shet, ca quonn lì taghjè u chrtìdd hò f’shckè!”) ho sentito gridare una volta da un anziano in un forno! Una persona che urla in un forno di una qualunque altra città sarebbe stata vista con sospetto, se non addirittura considerata folle. Invece quel gesto, in quel forno, in quella città, non poteva che far sorridere tutti coloro che erano in fila; piuttosto l’anziano fu accolto con affetto per il suo ricordare ed inpersonificare quel passato tanto mitico che pareva quasi rappresentato in una performance teatrale.

Tutt’ora il pane è variegato per forma e cottura: c’è il pane alto (cornetto), il pane basso, il filone, il pane azzimo (ficcilatidd), i taralli, la focaccia (f’ccozz), la focaccia farcita. Ciò non nasce dalla creatività di un singolo produttore/industriale che ha deciso di innovare il proprio menù di prodotti, ma si sviluppa dalla capacità di una città di innovare i propri beni di consumo con un processo creativo collettivo e continuativo svoltosi nell’arco di molto tempo.

I GIOVANI ED IL LAVORO A MATERA

Se oggi il pane non viene più prodotto in casa, ma il ciclo produttivo è interamente nelle sapienti mani dei fornai (che saggiamente ne hanno fatto un marchio igp registrato), resta il suo valore simbolico che da identità a Matera ed ai materani.

E’ possibile raccontare la città, il territorio e l’aspetto produttivo raccogliendo testimonianze del passato? Questo passato di solidarietà e convivenza è riattualizzabile oggi per promuovere civismo?

Non che Matera abbia grossi problemi sociali, ma certamente manca una progettualità condivisa per il futuro dell’economia locale. Matera dopo essersi risvegliata del sogno del boom economico dei vari salottifici si ritrova con un alto tasso di disoccupazione e con un futuro incerto. La deriva verso un impiego precario, spesso in call-center, oltre a non permettere una progettualità dei giovani, si riflette in una difficoltà di progettualità della città intera. Cos’è Matera? In che direzione si sta muovendo? Ci sono due strade potenzialmente percorribili: una legata al territorio, alla tradizione, alla cultura ed ai prodotti tipici e perché no al cinema, tutto ciò che in definitiva può sfociare in un turismo colto o enogastronomico (andamento tipicamente italiano che va percorso). La seconda strada di contro è aspecifica, slegata dal territorio e destinata a durare poco tempo, come recentemente la “fase dei salotti” ci ha insegnato. L’attività produttiva crea identità del territorio, chi lavorava alla Nicoletti salotti, alla Natuzzi o nell’indotto ne andava fiero perché contribuiva a produrre prodotti d’eccellenza. Il turismo si nutre di questi aspetti immateriali e storico-sociali che vanno preservati come le direttive dell’Unesco suggeriscono.

Riassumendo sarebbe interessantissimo recuperare gli aspetti psicosociali della produzione del pane, per riattualizzarli entro una progettualità cittadina.

LA PUBBLICITA’ E I POSSIBILI SVILUPPI FUTURI: VALORIZZARE I BENI IMMATERIALI

Dal 2005 in poi Matera è per tutti la città dei sassi, grazie ad un film che l’ha resa celebre, in barba all’ingresso della città nel patrimonio mondiale dell’unesco del 1993 e di numerosi altri film fino ad allora girati. Da allora l’immagine del campanile che sovrasta la città vecchia, rappresentata come una linea frastagliata che divide il cielo dalla terra contornando i sassi e la cattedrale, è diventato il simbolo della città, o volendo il suo logo. Basta cercare su google-immagini per capire di cosa sto parlando. Identificarsi in un’immagine eretta a simbolo è un processo naturale, tipico di tutti i gruppi più o meno ampi che in un certo senso necessitano di un totem come ogni tribù. Questo disegno che si vede chiaramente nello sfondo della pubblicità è usato moltissimo dai materani stessi per creare loghi d’ogni tipo. Quindi i sassi, rappresentati da questo logo, lasciano poco spazio ad altri loghi, o ad altri simboli, come quello del pane. Matera a livello di rappresentazione sociale è la città dei Sassi, non la città del pane. Il rischio è che i sassi con la loro grandezza ed imponenza possano coprire una potenziale ricchezza che invece si potrebbe preservare, come l’aspetto produttivo della città. C’è lo spazio nell’immaginario collettivo per il pane, oppure i sassi saturano tutti i simboli della città? Credo che una strada ad esempio possa essere collegare il simbolo dl pane al simbolo dei sassi per creare una pubblicità d’effetto, come ad esempio:

“Matera la città dei sassi, ma dal cuore tenero come mollica di pane” richiamando alla mente come le fette di pane siano a forma di cuore (è solo un esempio).

 

Sarebbe disposto il consorzio del pane di Matera, il comune, la provincia, la regione o l’Unesco a finanziare una lavoro in cui  si possano recuperare aspetti storico-sociali del passato della città, legato ad aspetti produttivi enogastronomici? Tramite foto, racconti o interviste si potrebbe recuperare questa ricchezza storica per riattualizzarla, per promuovere senso civico da una parte e turismo competente dall’altra, con le ovvie ricadute su posti di lavoro. Il tutto con un pizzico di sano gioco che permette di creare, oltre che recuperare, tutto il contenuto che la storia dei sassi contiene.

 

Un pò di bibliografia: R. Barthes, 2005, miti d’oggi, Einaudi ; E. J. Hobsbawm, T. Ranger, 2002, la costruzione della tradizione, Einaudi; D. Putnam, 1993, La tradizione civica delle regioni italiane.

Craco: una città fantasma nel cuore della basilicata. La storia raccontata da due anziani che ancora ci vivono

Questo slideshow richiede JavaScript.

“Non ha retto la modernità, anche se a noi piace pensare che l’ha rifiutata” dice Rocco Papaleo nel suo film Basilicata coast to coast

Incontrati dopo il tramonto, una coppia di anziani passeggiava lungo la strada che costeggia il vecchio paese. Con un pozzo di storia del genere bisogna parlarci per forza penso e decido quindi di fargli delle domande. I due anziani hanno modi molto diversi di reagire alla nostra invasione, quasi opposti, la donna esprime diffidenza dai suoi gesti. Con la sua posizione, mostrandoci le sue spalle, dimostra a noi curiosi ed impiccioni di voler svicolare la discussione il prima possibile. Suo marito di contro mostra tutta la sua rabbia lamentandosi per come all’epoca non sia stata affrontata al meglio la gestione della crisi che ha successivamente portato all’abbandono di Craco, che è culminato con la costruzione del nuovo paese: Craco Peschiera.

Primo mito sfatato, tramite la proficua discussione, è che il terremoto del ’80 non ha per niente aggravato i danni della frana del 1963. Il secondo mito da sfatare é che non c’è stata nessuna frana in quanto una frana per la sua immediatezza avrebbe dovuto portare a valle, in pochissimo tempo, tonnellate e tonnellate di terreno e mattoni. Pare che la vera causa sia stata piuttosto la mano umana, tramite la costruzione di un nuovo acquedotto che avrebbe dovuto distribuire la città vecchia di innocua e freschissima acqua. L’acquedotto fu costruito da parte di un amico dell’allora sindaco; ecco una bella chicca per i complottisti. A detta del nostro testimone privilegiato, questi lavori furono svolti in fretta e male, causando Continua a leggere

L’affermazione “piove” contiene un paradosso

Prendendo spunto dal paradosso di Achille e la tartaruga di Zenone………

Se io dicessi “Piove” tutti sarebbero in grado di validare l’esattezza di questa affermazione semplicemente guardando in cielo dalla finestra, oppure alzando il volto verso il cielo per vedere se ci cade una goccia in faccia. Però tutti ricorderanno anche i momenti in cui sta iniziando a piovere, in cui alcuni dicono che piove mentre altri dicono “Seee, ma che cavolo dici! Non piove”. Chi ha ragione in quei casi?

Chi è stato colpito dall’acqua ha ragione nell’affermare che piove, analogamente dice il vero chi non essendo stato colpito afferma che non piove. Quindi le frasi piove e non piove sono entrambe vere, senza dare la possibilità ai nostri amici di provare di aver effettivamente regione. Per fortuna verrà in soccorso dei nostri amici in contraddizione tra loro il meteo, che se migliorasse facendo tornare il sole darebbe ragione a chi afferma che “non piove”, mentre darebbe torto agli altri. Viceversa se si scatenasse un acquazzone, darebbe ragione allo schieramento opposto. In entrambi i casi il tempo metterebbe tutti d’accordo una volta per tutte! (Accadesse più spesso, saremmo tutti in accordo, ma forse saremmo anche più annoiati). Continua a leggere

Quanto costa guidare una macchina per tutta la vita

samaforo del caos

Questo semaforo però risolverebbe di sicuro la questione...

Ci sono due tipi di costo che derivano da uno stile di vita basato sull’uso dell’automobile, uno che grava sul bilancio familiare in termini economici, ed un altro che si può esprimere in termini di rigidità del sistema economico più generale.

Se una macchina che mediamente costa 15.000 €, che con un litro di benzina fa 14 km al litro, con un costo di 1,4€ al litro (prezzo tra l’altro in continuo aumento) costerà ad un automobilista medio, che fa circa 200mila km con un’automobile 20.000€ di sola benzina ogni 10 anni. Aggiungendo a queste cifre un’assicurazione di circa 500€ l’anno (nelle grandi città il costo aumenta notevolmente), ed un costo analogo di manutenzione (intendendo con questo tutti i costi di gomme, olio, manutenzione meccanica, elettrauto, di carrozzeria, ecc) arriviamo ad una cifra complessiva di circa 45.000 € ogni 10 anni per automobile, volendo essere davvero buoni. Tralascio inoltre le spese dei vari pedaggi dell’autostrada. Se pensiamo che la macchina viene usata per circa 50 anni della propria vita, e che mediamente ogni famiglia possiede due macchine allora la cifra arriva alla somma di 450.000€ nell’arco della vita di ogni famiglia, cioè quasi mezzo milione di euro. Adesso io mi chiedo quale meravigliosa casa sia possibile comprare con questa astronomica cifra!!! Scarica questo file excel che calcola i dati che ho detto. http://www.box.net/shared/khp16g49hk Continua a leggere

Psicologia della bestemmia

::ATTENZIONE :: Dato che chi bestemmia spesso sta provocando allora non si potrà parlare di bestemmia senza provocare, quindi leggendo sperimenterai un leggero o forte fastidio a seconda di del tuo livello di bigottismo. Prendilo come un test! Accogli la provocazione facendoti il segno della croce

Sarà strano da accettare ma noi italiani siamo artisti della bestemmia, delle piroette linguistiche tra il sacro ed il profano. Siamo degli artisti perché, oltre gli italiani e vagamente gli spagnoli, nessun altra cultura concepisce il significato di bestemmia.

Se provate a dire “pig-good” ad un americano lui potrebbe rispondere tree-television…per loro è un mero accostamento di parole senza soluzione di continuità. Per dare senso a delle parole in fila bisogna avere in mente il concetto che le possa legare. C’è allora da chiedersi perché in italia siamo maestri dei voli pindalici dissacranti ed osannanti nello stesso tempo. Sarà la forte influenza della chiesa cattolica? Sicuramente si! Su questo non c’è dubbio, e ciò ci accomunerebbe agli spagnoli, che storicamente ha avuto una forte influenza della chiesa. Quindi la possiamo intendere come una forma di ribellione a tale potere. Ricordo come chi bestemmiava nel medioevo era sottoposto a crudeli torture da parte delle sacre istituzioni, quindi bestemmiare era, come ancora è, un modo per rischiare la propria credibilità sociale, specie se in situazioni formali. Infatti la parola bestemmia deriva dal greco antico blasphemìa, cioè “discorso ostraggioso”, composto dai verbi blaptein, “offendere”, “danneggiare”, e phemi, “parlare”. Quindi chi bestemmia viola volontariamente un potere istituito senza competenze.

Ma tralasciando la domanda “perché” credo sia interessante pensare al “cosa” Continua a leggere

Cosa sono i flash mob

Flashmob= Flash (breve) + Mob (moltitudine), quindi una moltitudine di persone che compie un’azione per un periodo di tempo molto breve; ma anche se l’esperienza è breve è molto intensa! In pratica ci si incontra, spesso tra sconosciuti, ad un orario preciso ed un luogo preciso e si compiono azioni definite prima tramite internet, violando il più possibile il senso comune. Un gesto del genere in primo luogo è possibile solo grazie ad internet, strumento di comunicazione potentissimo. Un esempio? In una piazza, nel bel mezzo di una innocente passeggiata, migliaia di persone con molta nonchalance, restano ferme simultaneamente per un minuto, come congelati…..Pensate ai passanti che assistono a questa violazione del senso…potrebbero pensare di star sognando, o che il mondo sia impazzito! Altri esempi possono essere il ballare in massa una musica che non esiste in una biblioteca, o ancora pregare tipo musulmani intorno ad una statua senza alcun valore religioso o suonare chitarre ad aria…ed il tutto per pochi minuti. Il record di partecipanti a questi flash mob è di circa 4000 persone, che a Londra nel 2007 hanno ballato per due ore in una metro, ognuno con la proprio musica nelle orecchie. Questo fenomeno sociale è diventato famoso apparendo su tutti i telegiornali del mondo dopo la morte di michael jackson, in quanto molti sui fan hanno organizzato dei balli-tributo in famose piazze di capitali del mondo. Anche alcuni marchi di abbigliamento hanno organizzato eventi simili per scopi pubblicitari. Ma questi “eventi” non sono dei veri flash mob in quanto sono una deviazione dello spirito originario.

Ma il nonsense ha un senso eccome…e questo senso è la base del dadaismo (genitore della pop art). Criticare il senso comune, e le regole sociali è un concetto di derivazione anarchica, ed in quanto tale ha senso eccome! Continua a leggere

Capire l’economia del petrolio con un gioco

Ho scovato un giochino sulla rete, che se giocato con attenzione alla reale economia del petrolio, permetterà di schiarirsi un pò le idee su alcuni avvenimenti più o meno recenti. Il suo nome è Oiligarchy, ed il riferimento al monopoli dell’energia da parte dei combustibili fossili è chiaro già dal nome. Per me non è un semplice gioco, dato che con una semplice partita (che dura al massimo una mezz’oretta) si possono capire le strategie dei  petrolieri giocando direttamente il ruolo di uno di questi. Inoltre ll gioco è molto intuitivo, perciò la giocabilità è buona. E’ comunque spiegato tutto prima dell’inizio di una partrita.

oilgarchy

Clicca qui per gicare http://www.molleindustria.org/en/oiligarchy Tra l’altro mi sembra che su questo sito ci siano tantissimi giochi in flash.

Lo scopo del gioco è di individuare i pozzi petroliferi, estrarre il petrolio e venderlo al prezzo più alto possibile su scala globale. Inutile dire che per essere realistico questo giochino prevede che il petrolio possa essere estratto in tutto il mondo, e qualora vi siano delle resistenze da parte dei nativi del luogo (dell’Amazzonia dell’Iraq o del Messico ad esempio) si può sempre corrompere il governo locale o addirittura fare una guerra. Diciamo che l’ottica del complottismo non manca assolutamente. Inoltre durante le elezioni in cui si sfidano democratici e repubblicani, il petroliere può decidere di finanziare una delle due fazioni, per avere accesso al potere dei vari governi per far varare le proprie leggi; ad esempio contro la ricerca delle le fonti alternative di energia, o per far approvare una politica guerrafondaia o per eliminare dei vincoli paesaggistici ad una riserva naturale (come in Alasca o  Amazzonia). Non mancheranno le manifestazioni dei pacifisti verdi che inneggeranno contro di voi.

Inoltre cliccando su di un bottoncino si possono far passare gli anni, cosicchè ci si ritrova subito con il petrolio estratto ed il denaro nel conto in banca. Io sono riuscito ad arrivare al 2035, ma poi ho perso le elezioni e il nuovo governo (forse obama?) ha dichiarato il petrolio illegale.